di Luigi Dattola e Gianpaolo Barone
La Calabria è stata oggetto di sfruttamento minerario fin dall’epoca preistorica, tuttavia, sono poche le testimonianze scritte ed i reperti archeologici che possono essere riferiti con sicurezza a queste attività, almeno fino al 1700. Le tracce più antiche di sfruttamento minerario sono quelle di età tardo paleolitica trovate nella Grotta della Monaca, situata nel territorio di Sant’Agata d’Esaro (CS). Qui, già in epoca protostorica, si estraeva e lavorava la goethite, un minerale di ferro, inizialmente prelevato presso l’imbocco della grotta e successivamente all’interno, con attività minerarie che si sono protratte almeno fino al 3500 a.C. Le lavorazioni non riguardavano minerali da impiegare nella costruzione di manufatti metallici ma solo per la produzione di pigmenti colorati, che venivano utilizzati negli scambi commerciali dell’epoca. Il sito è riconosciuto come una delle miniere più antiche e meglio conservate d’Europa. In generale, sporadiche e incerte sono le altre testimonianze, tra le quali un diploma di Ruggero il Normanno del 1094 con il quale si concede ai monaci certosini lo sfruttamento del ferro nel comprensorio di Stilo e Pazzano. Non è priva di suggestione, però, la possibilità che già in epoca greca e romana alcune piccole lavorazioni fossero attive come suggeriscono alcuni reperti archeologici e strutture metallurgiche rinvenute nella Locride, studiate da Franco (2003) e Cuteri (2017). Un indizio a sostegno di questa ipotesi proviene da uno studio del 2015 che ha analizzato gli ossidi di ferro utilizzati come colorante delle malte del mosaico della Sala dei Draghi e dei Delfini dell’antica Kaulonía (odierna Monasterace Marina), dimostrando una corrispondenza chimica perfetta con i minerali estratti nelle aree di Stilo, Pazzano e Bivongi. Sebbene questa ricerca non sia conclusiva, rappresenta un importante tassello per avvalorare l’ipotesi che i giacimenti limonitici potessero essere già noti e sfruttati durante il periodo della Magna Grecia (Miriello et al. 2015)
Fatta eccezione per queste poche testimonianze si registra una lunga lacuna documentaria, interrotta solo da sporadici riferimenti, come quello relativo alle miniere di Longobucco, la cui attività è attestata almeno dal XII secolo. La scarsità di fonti documentali, tuttavia, non esclude che le attività minerarie e industriali di trasformazione dei minerali in Calabria abbia avuto continuità nel tempo.
Solo a partire dal XVIII secolo le testimonianze diventano più numerose e dettagliate, permettendo di ricostruire con maggiore precisione lo sviluppo delle attività minerarie nella regione, concentrate in aree specifiche come Lungro (fig 1), Longobucco (fig 2), Pazzano, Stilo, Bivongi, il Marchesato crotonese (fig 3) e Reggio Calabria. In queste aree le miniere vantavano una storia più antica, mentre in località come Mormanno, Catanzaro, Gimigliano, Caulonia, Roccella Ionica, Mammola e Canolo l’estrazione ebbe inizio in epoche più recenti. Questa fase storica, ben documentata, mostra come la Calabria abbia mantenuto una rilevante vocazione mineraria fino al XX secolo, nonostante i periodi di oscurità documentale precedenti, lasciando tracce significative nel paesaggio e nella storia economica della regione (Dattola L. e Barone G., 2024).
Le miniere di ferro di Stilo, Pazzano e Bivongi
Volendo analizzare più in dettaglio le attività minerarie nella provincia di Reggio Calabria bisogna innanzitutto sottolineare che, fatta eccezione per il Marchesato crotonese, dove si estraeva zolfo, il comprensorio di Stilo, Pazzano e Bivongi e delle immediate adiacenze è certamente quello, nella regione, cui appartengono la storia mineraria più lunga e le dimensioni maggiori. Lo sfruttamento era mirato prevalentemente all’estrazione del ferro, sotto forma di limonite (ossido di ferro, fig 4), e subordinatamente di pirite (solfuro di ferro, fig 5) che comunque si trasforma in ossido per alterazione. Le mappe d’epoca segnalano a partire dal 1700 un’intensa attività estrattiva alla base della dorsale montuosa costituita dai monti Consolino, Stella, Mammicomito e Gallo (fig 6). Le gallerie di sfruttamento venivano aperte alla base dei calcari mesozoici (circa 200 Milioni di anni) costituenti l’allineamento montuoso, proprio in corrispondenza del contatto con le sottostanti rocce metamorfiche paleozoiche (circa 350Ma). Sotto la dominazione dei Borboni, le miniere come le attività siderurgiche venivano controllate dai militari con l’evidente scopo di gestire direttamente la produzione orientando prevalentemente l’impiego del ferro nella realizzazione delle armi necessarie al mantenimento del Regno (fig 7 e 8). Le altre attività minerarie nell’area sono, come già accennato, più recenti e strettamente legate agli eventi storici che hanno caratterizzato la prima metà del secolo scorso, in particolare il periodo successivo al 1935. In quell’anno l’Italia invadeva l’Abissinia (attuale Etiopia), atto che portò la Società delle Nazioni (equivalente dell’odierna ONU) a imporre sanzioni al paese. Già prima di quell’evento il regime fascista aveva iniziato a promuovere l’autarchia, ovvero una politica di autosufficienza economica, finalizzata a ridurre la dipendenza del Paese dalle importazioni di materie prime e beni provenienti dall’estero. Tale politica fu promossa e intensificata soprattutto dopo l’imposizione delle sanzioni.
Furono condotte prospezioni minerarie e alcuni siti dichiarati idonei per l’avvio degli sfruttamenti. Tra questi l’area nel territorio di Bivongi per lo sfruttamento della molibdenite e le aree nei territori di Caulonia/Roccella Ionica e Mammola per lo sfruttamento dell’arsenopirite.
Le miniere di molibdenite di Bivongi
Il minerale, segnalato già nel 1788 da Fasano nelle località Pungo, oggi Punghi, e successivamente da altri autori come Matteo Spica ed Emilio Cortese, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, è costituito da lamelle a contorno esagonale incluso nei filoni di quarzo o anche nelle granodioriti (rocce ignee intrusive) in prossimità degli stessi filoni (fig 9).
Nonostante la conoscenza della molibdenite risalga alla seconda metà del XVIII secolo, è solo circa cento anni dopo che si inizia a sfruttarne le caratteristiche utilizzando il molibdeno come sostituto del tungsteno e come indurente delle leghe di acciaio; l’utilizzo in questi ambiti favorì lo studio e lo sviluppo di leghe di acciaio al molibdeno all’inizio del XX secolo per la produzione di armi, presumibilmente anche per l’avvicinarsi del periodo bellico.
Nell’area di Bivongi le attività minerarie ebbero inizio nel 1917, avviate dalla “Società Mineraria Torelli e Re” di Roma. Lo sfruttamento più importante venne eseguito presso il Cantiere Giogli, lungo il torrente Pardalà (fig 10).
Miniera Cerasara di Caulonia e Roccella Ionica
Il minerale estratto nell’area tramite alcuni cunicoli di piccola dimensione è stato l’arsenopirite (fig 11). Il materiale veniva trasportato all’esterno e, tramite un sistema di teleferiche, portato a valle sulla fiumara Amusa da dove veniva successivamente smistato. La circostanza che le coltivazioni minerarie erano localizzate in un territorio sostanzialmente privo di una vera e propria viabilità limitò le lavorazioni (fig 12).
Miniera Macariace di Mammola
Nel territorio di Mammola, lungo il torrente Macariace, affluente di sinistra del Torbido, sono segnalate mineralizzazioni ad arsenopirite (fig 13). In queste mineralizzazioni vennero avviate estrazioni minerarie tra gli anni ’20 e gli anni ’40 del secolo scorso. Gli sfruttamenti seguirono i filoni che con andamento subverticale attraversano i paragneiss del Complesso di Mammola (rocce metamorfiche).
L’estrazione dell’arsenopirite come della molibdenite fu portata avanti solo nel periodo autarchico italiano e cessò pressappoco in concomitanza della fine della Seconda Guerra Mondiale.
Le attività minerarie in Aspromonte
Più a sud, nelle vicinanze di Reggio Calabria, alle pendici del massiccio aspromontano, sono segnalate attività minerarie nel comune di Motta San Giovanni e nel comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte. Riguardo sempre l’Aspromonte, nel 2021 è stato pubblicato un interessante articolo che descrive una minuziosa ricerca di attività siderurgico minerarie condotta nelle aree interne del massiccio, poco battuto dagli archeologi rispetto alle aree costiere (Robb J. et al., 2021). Il lavoro segnala la presenza di notevoli quantità di scorie di lavorazione del ferro rinvenute in prossimità di località Ferraina, poco distanti le une dalle altre. Analisi condotte con la fluorescenza ai raggi X segnala una significativa presenza di ferro sia nelle scorie che nella roccia affiorante, facendo pensare che per le lavorazioni si siano utilizzati minerali rinvenuti nelle prossimità.
A parte ciò, le segnalazioni di attività minerarie e/o metallurgiche sono molteplici ma solo delle tre indicate disponiamo, al momento, di informazioni sufficienti per riconoscerne la fondatezza. Certamente è documentata in numerose località della cintura sud-occidentale dell’Aspromonte la presenza di mineralizzazioni a pirite, ematite, magnetite, calcopirite e galena.
Le due aree di interesse minerario di cui si dispone di documentazione e di prove tangibili delle attività estrattive ancora osservabili sul territorio, possono essere collocate storicamente tra la metà del 1700 e la metà del 1800, quindi nel periodo Borbonico.
Area mineraria di Valanidi (RC)
Si trova riportato in un volume scritto da Melograni, “Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze” del 1823, di alcune miniere di rame lungo il corso del torrente Valanidi che, gestite dai tedeschi, avevano fornito minerale alle fonderie di Reggio Calabria. Tuttavia, a parte il minerale estratto dal cunicolo lungo lo Stroffa, affluente del Valanidi, le ricerche non avevano dato esito ed erano state per questo abbandonate.
Tali notizie, comunque, dovevano aver avuto un certo rilievo e suscitato interesse dal momento che a più riprese numerosi autori, tra cui anche l’allora autorevole Cortese ne aveva fatto cenno in un suo volume del 1895.
La località si trova nelle vicinanze del centro abitato di Trunca ed era stata esplorata con rilievi di superficie e, come già accennato, attraverso la realizzazione di piccoli cunicoli scavati a mano nella dura roccia metamorfica che caratterizza i luoghi (fig 14 e 15). I luoghi sono stati in parte indagati con lo scopo di determinare i minerali presenti, tra questi si segnalano: azzurrite, malachite, calcantite e woodwardite (figure 16, 17, 18). A petra virdi di Trunca
Gli sfruttamenti ebbero un certo impulso tra il 1750 e il 1760, sotto il regno di Carlo III e della moglie Maria Amalia di Sassonia. Vennero chiamati a lavorare e istruire le maestranze locali anche minatori esperti sassoni e fu costruita una ferriera in località Arangea per la lavorazione del minerale (Clemente, 2012). Secondo alcuni ricercatori il minerale proveniva da tutto il circondario e perfino dalle miniere siciliane di Fiumedinisi. Nel 1759 Carlo III fu chiamato sul trono di Spagna e abdicò in favore del figlio Ferdinando di appena 8 anni, assistito da un Consiglio di Reggenza. La miniera perse di interesse a favore di quelle di Stilo, Pazzano e Bivongi, verso le quali vennero indirizzati tutti gli sforzi economici, causando un repentino abbandono delle aree.
Le miniere di magnetite di Sant’Eufemia d’Aspromonte
In una recente visita all’Archivio di Stato di Reggio Calabria, grazie all’aiuto del personale che si è prestato con interesse e curiosità, e di ciò ringraziamo tutti loro e la Direttrice dell’Archivio, è stato visionato un carteggio significativo che riguarda alcune attività minerarie portate avanti nel territorio comunale di Sant’Eufemia d’Aspromonte. La documentazione, che abbraccia un periodo storico a metà del 1800, riporta di Agostino Chirico che segnala il ritrovamento del minerale di ferro poco a nord di S. Eufemia. Sono del 1859 alcuni documenti che citano i fratelli Agostino e Rocco Chirico, i quali fanno anche redigere una mappa del territorio e dei luoghi di rinvenimento del minerale, definito “pietra calamitata” alludendo al fatto che attrae gli oggetti ferrosi e che può perciò identificarsi con la magnetite. Vari furono i tentativi dei Chirico di accreditarsi presso i Borboni per ottenere le concessioni di sfruttamento (fig 19) ma, nonostante le analisi fatte sui materiali che fornirono tenori di ferro con percentuali sulla ganga (materiale non utile) superiori a quelli delle aree minerarie poste più a nord, pare non vi fu un vero interesse da parte dei regnanti. Qualche attività, tuttavia, deve essere stata intrapresa, prova ne è la corrispondenza del 13 ottobre 1859 tra il Sottointendente di Palmi e il Signor Intendente di Reggio Calabria nella quale si autorizza la cerimonia di benedizione di una galleria mineraria denominata San Francesco (fig. 20). Ammettiamo di non aver ancora avuto modo di visitare i luoghi ma ci è stato riportato del ritrovamento di alcuni ciottoli di materiale dall’aspetto ferroso (comunicazione personale di Massimiliano Scarfò) che lascia presupporre proprio la presenza del minerale.
Didascalie delle immagini
- cartolina d’epoca rappresentante l’ingresso della miniera di salgemma di Lungro (CS).
- Galleria di sfruttamento della galena argentifera. Longobucco (CS)
- Calcarone, struttura adibita alla “cottura” della roccia solfifera per l’estrazione dello zolfo. Miniera Santa Domenica. Melissa (KR).
- Campione di ossido di ferro (limonite), da cui veniva estratto il ferro per la costruzione di manufatti durante la dominazione dei Borboni.
- Pirite, solfuro di ferro.
- Monte Consolino a sinistra e monte Stella a destra, alla base dei due rilievi si aprivano le miniere da cui veniva estratto il ferro.
- Imbocco di miniera per l’estrazione del ferro. Bivongi (RC)
- Ferriera di Mongiana
- Molibdenite, cristalli a contorno esagonale.
- Cantiere Giogli, area mineraria da cui veniva estratta la molibdenire
- Arsenopirite, solfuro di ferro e arsenico
- La miniera Cerasara di Caulonia e Roccella Ionica
- La miniera Macariace di Mammola. In alto piazzale principale della miniera, dove sono state realizzate alcune gallerie di estrazione. Evidenti i cumuli di detrito ocraceo ricco in ossidi di ferro.
- Costone roccioso con trasudazioni di acque ricche in carbonati e solfati di ferro e rame
- Costone roccioso con trasudazioni di acque ricche in carbonati e solfati di ferro e rame
- Azzurrite su matrice rocciosa costituita da gneiss
- Associazione di microcristalli di azzurrite e malachite
- Microcristalli di calcantite
- Documento che riporta delle richieste dei sig.ri Chirico alle autorità al fine di ottenere le concessioni di sfruttamento della “pietra calamitata” di Sant’Eufemia d’Asromonte.
- Autorizzazione alla benedizione della galleria S. Francesco della miniera di Sant’Eufemia d’Aspromonte.
Fonti
- Clemente G. (2012) – Archeologia mineraria nella Calabria meridionale tra Medioevo ed età contemporanea. Dati preliminari sulle miniere del Valanidi nei comuni di Reggio Calabria e Motta San Giovanni (RC). VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, L’Aquila 12-15 settembre 2012.
- Cuteri F.A. (2017) – Kaulonia e l’attività mineraria e metallurgica nella Calabria Achea. Atti del cinquantasettesino convegno di studi sulla Magna Grecia. Taranto 28-30 settembre. 821-859.
- Dattola L. e Barone G. (2024) – Minerali della Calabria GML-AMI, pp 256
- Fasano A. – Saggio geografico fisico sulla Calabria Ulteriore. Atti della Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere, Napoli 1788.
- Franco D. (2003) – Il ferro in Calabria. Vicende storico-economiche del trascorso industriale calabrese. Kaleidon – Reggio Calabria, pp 176
- Melograni G. – Descrizione geologica dell’Aspromonte e sue adiacenze con aggiunta di tre memorie concernenti l’origine dei vulcani, le grafiti di Olivadi e le saline delle Calabrie. Napoli 1823.
- Miriello D., De Luca R., Bloise A., Dattola L., Mantella G., Gazineo F., De Natale A., Iannelli M.T., Cuteri F.A., Crisci G. M. (2015) – Compositional study of mortars and pigments from the “Mosaico della Sala dei Draghi e dei Delfini” in the archaeological site of Kaulonía (Southern Calabria, Magna Graecia, Italy). Archaeological and Anthropological Sciences Vol. 9, p 317-336.
- Robb J., & Meredith S. Chesson M.S., Forbes H., Foxhall L., Foxhall-Forbes H., Kay Lazrus P.K., Michelaki K., Picone Chiodo A., Yoon D. (2021) – The Twentieth Century Invention of Ancient Mountains: The Archaeology of Highland Aspromonte. International Journal of Historical Archaeology 25:14–44.