È colpa dell’amico Pietro Garofalo se mi ha coinvolto in una sua curiosità: percorrere il Serro Castello. In realtà non ci è voluto molto. L’area, a sud dei Campi di Bova, è tra quelle meno percorse dagli escursionisti. Il toponimo, ricorrente in Aspromonte, è indicativo di una emergenza rocciosa e già l’esame della cartografia evidenzia un affilato crinale che si protende come un trampolino puntando alla confluenza degli impluvi Marte e Cipore con la fiumara Palizzi.
Imbocchiamo una sterrata di certo realizzata dalla forestale qualche decennio fa per impiantare alcuni rimboschimenti dei quali restano sparuti boschetti di pino e di robinia. Come era prevedibile dopo pochi tornanti il tracciato è corroso dalle frane ma le piste delle vacche, che aprono un varco nella fitta vegetazione, ci conducono al Serro Castello. Il percorso è disagevole, tormentato. Dove si fermano le vacche proseguono le capre e infine i cinghiali e noi ne seguiamo le tracce. O cerchiamo di tenerci sulla cresta rocciosa dove più radi sono rovi e spolassi (Spartium infesta). Siamo consapevoli che non vi è una meta. I sentieri, le antiche vie sono scomparsi, fagocitati da una natura tornata padrona degli spazi che l’uomo gli aveva tolto. Più volte stiamo per rinunciare ma, ad ogni pinnacolo che raggiungiamo, ci facciamo attrarre dal successivo.
Nel cielo una coppia di rapaci sale sempre più in alto grazie a una termica mentre noi scendiamo sempre più giù perdendo quota e ignorando scientemente che la salita, il ritorno al punto di partenza sarà durissimo. Sino all’ultimo puntone, il più prossimo al fondo della valle comunque irraggiungibile. In una scalata al contrario, dove si scende per conquistare la meta.
Conquistatori dell’inutile, grati alla montagna che ci consente la nobiltà di gesti gratuiti e appaganti come misurarsi con sé stessi e con la grandezza della natura.

 

La figura della Sibilla è antichissima e ricorrente in diverse montagne dell’Appennino (come i Sibillini che ne prendono il nome) ma in Aspromonte costituisce un singolare collegamento con la Madonna della Montagna di Polsi. Ad essa, infatti, figura benigna e materna, si contrappone quella negativa e vendicativa della Sibilla detta anche Sibilia, Maga Saba, Saba Sibillia. La tradizione popolare ritiene che dimori in una grotta nascosta tra i dirupi che da Montalto, tra Puntone Iuncàri e la Contrada Crànzari, precipitano verso Polsi.

Allorché da questi impervi valloni precipitano massi o piccole pietre staccantisi spontaneamente dal fianco del monte, i pastori fuggono atterriti, vedendo nel fenomeno un ammonimento della Sibilla che non vuole essere visitata da alcuno; pertanto, quei luoghi sono pressoché inviolati e guardati con timore. Per tal motivo quando termina a Polsi la processione mariana, la statua della Madonna viene fatta girare rapidamente su sé stessa in modo che guardi verso Montalto, dove è la Sibilla che vede gli omaggi di fede dei cristiani. Essa, infatti, freme e riaprirebbe la lotta contro il bene provocando terremoti, gridando e lanciando massi sulla folla dei pellegrini se si accorgesse che la statua della Madonna le rivolge le spalle. È per questo che la Madonna, dalla sua nicchia, guarda continuamente verso Montalto: ella veglia continuamente sui suoi fedeli tenendo a bada le ire della Sibilla.

Così la descrive il Carbone-Grio in “Le caverne del subappennino” del 1877: “La Saba-sibilia s’apre a levante del Pater Appenninus, sul punto culminante di Montalto. Una selva di pini, di larici e di altre selvagge essenze ingombra il sito su cui si apre la grotta ch’è argomento di superstiziose, paure ai montanari e legnaiuoli dei paesi circostanti, i quali raramente si avventurano soli su quella rupe presso che inaccessibile”.

La sua figura misteriosa ha colpito Nicola Tripodi di Arghillà, l’arte delle Terre, che ne ha magistralmente interpretato il mito https://www.arghilla.com/ Vi sono stato anni fa, guidato da Antonio Barca, da Serro Cerasia e poi superando scalinate rocciose quasi verticali. Fino a raggiungere un anfratto ombroso ma non profondo. La Sibilla non l’abbiamo trovata ma l’ambiente incuteva timore e abbiamo guadagnato il piano di Serro Juncari grati di non averne scatenato l’ira.

 

L’estate è la stagione preferita per recarsi al Santuario della Madonna della Montagna sito a Polsi. È molto forte il legame di questo luogo con le popolazioni aspromontane ma anche siciliane. Ormai da alcuni secoli vi giungono numerose carovane di devoti. Alle cavalcature di una volta si sono oggi sostituite automobili o camion rusticamente attrezzati. Ogni paese compie il pellegrinaggio secondo un calendario che tenta di regolare l’afflusso di migliaia di fedeli. Ma soprattutto in occasione della festa, il 2 settembre, l’anfiteatro naturale in cui è posto il Santuario si trasforma in un enorme calderone di grida, canti, balli, odori, gesti, colori. Tutto ciò trasporta il visitatore in un’atmosfera primordiale. Sul fuoco, con paziente maestria, si arrostiscono chili e chili di carne di capra. Il pranzo pantagruelico è uno dei riti del pellegrinaggio a Polsi; prosegue anche per l’intero pomeriggio in un susseguirsi di pietanze come per sconfiggere una fame atavica. Al cibo segue la tarantella al suono di organetto e tamburello, balli ai quali i danzatori partecipano con intensità e trasporto. Spesso, quando il ritmo diviene più frenetico, anche i suonatori sembrano cadere in trance. A Polsi ai suoni pagani delle danze si mescolano quelli sacri del Rosario e delle antiche litanie intonate dalle donne.
Tante sono le antiche vie che conducevano a Polsi, alcune sono ancora caparbiamente percorse a piedi da pellegrini, come la via da Prena dalla tirrenica e a via di Riggitani dallo Stretto.
La prima attestazione di pellegrinaggio all’eremo risale al 1152. In epoca bizantina frequenti erano i contatti religiosi tra Calabria e Sicilia. San Lorenzo di Frazzanò (Messina), trovandosi a Santa Domenica di Gallico (RC) si recò a Polsi. Ecco l’episodio tratto dalla biografia del santo riassunto dal prof. Domenico Minuto nel suo “Otto Santi” scritto per Città del Sole Edizioni e dal quale traggo il brano seguente.
Dopo di ciò si recò da lui un reverendo eremita, discendendo dai monti dell’Appennino e tenendo in mano un bastone che nella sommità recava la forma della croce; e gli disse: “Salve, padre santo e venerabile. O padre, mi manda da te il mio abate perché io ti preghi molto umilmente a nome suo che tu venga da noi il prossimo giorno di Pasqua per celebrare la messa”. Il santo, accogliendo l’invito, si recò all’eremo impiegando tre giorni, uno per andare, uno per stare ed uno per tornare. Per giungervi, dovette salire fin sulla cima dell’Aspromonte (chiamato “monte asperrimo”) e scendere dall’altro versante. Pertanto, il pellegrinaggio di Lorenzo a Polsi può essere considerato il più antico esempio di una pia pratica che da secoli coinvolge annualmente una immensa folla di calabresi e di siciliani.

 

Aspromonte calamita delle nuvole. Così, Norman Douglas, scrittore inglese dei primi del secolo scorso, definì la montagna più a sud della penisola italiana. Il diario di quel viaggio furono riportati nel volume “Old Calabria”, splendido ritratto della nostra regione. L’Aspromonte raccontò di averlo traversato dal Tirreno allo Ionio, da Delianuova a Bova Marina, in una sola giornata attraverso foreste, pietraie e panorami mozzafiato.
Ma l’effettiva realizzazione di tale impresa, perché tale è, ha sempre incuriosito gli addetti ai lavori. Pertanto, con un gruppo di amici, a più di un secolo di distanza da quell’impresa, ho deciso di riproporla. Con l’intento di coniugare natura, storia e piacere per la riscoperta di un viaggiatore del passato.
Un evento che va oltre lo sport, riaprendo una finestra sulla storia delle terre alte d’Aspromonte. Due comunità aspromontane, Bova e Delianuova, unite da un sentiero individuato e segnato dal GEA nel 1994 Abbiamo studiato il testo di Douglas per desumerne tempi di percorrenza, stagione nella quale effettuò la traversata, itinerario, ecc. Con la collaborazione dell’arch. Domenico Malaspina, cultore della viabilità antica, abbiamo individuato quello che riteniamo sia il percorso seguito da Douglas e con esperte guide come Demetrio D’Arrigo di Aspromonte Wild e Pietro Garofalo abbiamo organizzato gli aspetti logistici.
Una vera impresa come confermato dalla difficoltà che Douglas ha a Delianuova, la sera prima della traversata, nel trovare una guida che lo conduca sino a Bova. Tutti gli ripetono “A Montalto sì, a Bova no”. Infine, trova una guida sulla cinquantina che l’accompagna sino a Bova. Giunto alla Chora si concede una sosta per gustare del vino e intrattenersi con il prete, il notaio e altri abitanti che parlano greco. Decide infine di scendere alla stazione di Bova Marina e trova una seconda guida, “un giovane”, col quale, durante il cammino, parla, “in fluido greco-bizantino, delle faccende del suo villaggio”.
Nel suo diario Douglas così sintetizza la traversata: “Il viaggio da Delianuova a Bova, passando per … Montalto, non è raccomandabile per ragazzi o persone di salute delicata. A parte un riposino di 45 minuti, mi ci vollero 14 ore per raggiungere la città (Bova), e poco meno di 3 da qui alla ferrovia. Non v’è un solo tratto piano in tutto il percorso, e sebbene la mia guida abbia sbagliato strada 2 volte, e quindi è probabile mi abbia fatto perdere un po’ di tempo, dubito assai che un buon camminatore … riesca a coprire la distanza in meno di 15 ore.”

Il percorso è stato diviso in frazioni che vedono la presenza di un accompagnatore esperto del territorio, per affiancare gli escursionisti. Ma il ruolo di tale figura non è solo di guida bensì coinvolge soggetti che operano per la promozione dell’Aspromonte.

Frazione Delianuova-Carmelia guidata da Pino Perrone dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia, Sezione di Reggio Calabria. Ogni anno, la sezione, ricorda a settembre i paracadutisti della Divisione Nembo caduti durante l’ultimo conflitto mondiale per uno scontro con le forze anglo-canadesi, in Aspromonte ai piani di Zillastro. Con una marcia, partecipata da tutta Italia, ripercorrono il tracciato all’epoca seguito dalla Nembo.

Frazione Carmelia-Montalto guidata da Antonio Barca dell’Associazione Asper. Il sodalizio opera a Delianuova dal 2005 con giornate ecologiche, escursione in più giorni da Delianuova a Bova, convegni e collaborazioni con gli Enti locali.

Frazione Montalto-Pedimpisu con guida Pasquale Criaco di “Insieme per Africo”. L’Associazione gestisce il rifugio “Carrà”, nei pressi di Africo Vecchio e custodisce il vecchio paese e la chiesetta di San Leo. Diverse le iniziative, culturali e ambientali, organizzate ad Africo Nuovo.

Frazione Pedimpisu-Bova con Mimmo Cuppari di Naturaliter. La cooperativa, nata nel 1994, propone viaggi a piedi nelle Aree Protette del meridione d’Italia ma anche all’estero. Un’importante realtà che offre turismo sostenibile.

Frazione Bova-Bova Marina guidata da Pasquale Callea di Porpatima Trekking. L’associazione si è distinta per aver recuperato una tradizione, quella del pellegrinaggio il 5 maggio per la festa di San Leo, che vede decine di pellegrini percorrere a piedi, alcuni scalzi, i 10 km da Bova Marina alla Chora (Bova).

Un evento quindi corale che mette insieme storia e natura.E allora sabato 25 giugno 2022 alle ore 4:00 con Giuseppe Battaglia, Silvio Bagnato, Carmelo Idone e Pino Perrone sono partito dal municipio di Delianuova e dopo avere percorso 53 chilometri, con un dislivello positivo di circa 3.200 metri, dopo oltre sedici ore di cammino, alle ore 20:05 sono giunto davanti al municipio di Bova Marina.
Sono stati attraversati posti assolutamente fantastici. Unici nella loro ricca biodiversità. È sembrato di essere in un Eden.
Ai fertili piani di Carmelia si sono succedute le rigogliose foreste che ammantano il versante occidentale dell’Aspromonte sino a raggiungere il culmine del massiccio: Montalto, ornato dalla statua del Redentore.
La discesa è iniziata tra boschi di abete e faggio ma alla quota alla quale subentrano le maestose pinete di laricio il paesaggio è mutato in un girone infernale. Gli incendi della tragica estate scorsa hanno inferto un duro colpo alla nostra montagna. L’arrivo nell’area grecanica ci ha immerso in un mondo arcaico, ricco di una cultura che ha ancora tanto da insegnarci.
Infine, l’arrivo a Bova Marina con un bagno ristoratore nelle acque dello Ionio ha suggellato un’impresa unica.
Avventura che all’innegabile componente atletica unisce il comune sentire di tante realtà attive sul territorio che hanno accompagnato, si può dire quasi per mano, i cinque escursionisti. Sorretti dall’abbraccio di tanti uomini di diversi paesi ma tutti accomunati dallo stesso amore per l’Aspromonte.

Qual è la fauna presente in Aspromonte? Quali specie hanno bisogno di essere aiutate attraverso una corretta gestione? Ma soprattutto cosa si può fare? Sono queste le domande che fin da ragazzo Giuseppe si poneva quando, dalla costa, risalendo con lo sguardo le fiumare Amendolea e La Verde, scrutava gli angoli più remoti che la vista potesse concedere. La risposta fu studiare e documentare. Ovvero fare ricerca e fotografie. Così, dopo qualche anno, conseguendo la laurea in Scienze Naturali, è diventato un Naturalista. Certo, era solo un titolo, ma fin da subito ha avuto l’opportunità di lavorare per il Parco Nazionale dell’Aspromonte. Contestualmente ha anche sviluppato la passione per la fotografia naturalistica, prediligendo però l’avifauna. Ora sono trascorsi 12 anni da quando ha iniziato a lavorare per l’Aspromonte e la sua biodiversità, altrettanti da quando ha iniziato a fare fotografia. Ha avuto la fortuna di studiare in particolar modo l’Aquila reale (Aquila chryisaetos), la Coturnice (Alectoris graeca) ed il sempre più minacciato Ululone appenninico (Bombina pachypus). Grazie al lavoro di campo ha appreso tante informazioni su queste specie ma molto c’è ancora da fare per tutelarle e conservarle. Così oggi, da quel lontano 2004 in cui scrutava i crinali aspromontani dalla costa, continua a studiare e lavorare per l’Aspromonte e la sua biodiversità. Contribuendo, se pur in minima parte, alla tutela della fauna ed a una corretta divulgazione.

Per chi percorre un territorio cercando di conoscerlo, la cartografia è uno strumento importante. Se poi si vuole scrutare il passato, le carte antiche aprono un mondo affascinante. Pertanto, per quanto riguarda l’Aspromonte, ho indagato su qual è la prima carta che ne riporta il toponimo.
Secondo la geocartografia moderna (cioè il prodotto grafico di uno studioso del territorio), circa la Calabria e, quindi, all’Aspromonte, la più antica che contenga il toponimo della nostra montagna è la Carta Aragonese, la cui datazione risale al primo quarto del 1500. Infatti, l’intero sistema montuoso calabrese nell’antichità aveva un’indistinta denominazione: Sila. Termine che deriva dal greco: “materia prima, bosco”. Furono poi i normanni che introdussero la denominazione “Aspromonte”. Per approfondimenti sull’etimologia vedi https://www.facebook.com/altroaspromonte/posts/232306468688727
Vanno citate anche alcune carte tolemaiche, antecedenti di qualche decennio la Carta Aragonese. Tuttavia, esse non sono il frutto dell’attività di un geografo/cartografo, ma dello storico.
Ringrazio l’ing. Giuseppe Macrì per le puntuali indicazioni fornite. Consultate la sua interessante pagina Monumenta Cartographica Calabriae dalla quale ho tratto alcune delle carte che pubblico.
Di seguito, in ordine pressoché cronologico, i riferimenti bibliografici di alcune delle carte pubblicate.

  • Marco Iuliano, “Cartapecore geografiche”: cartografia calabra in età aragonese, in Storia della Calabria nel Rinascimento a cura di S. Valtieri. Gangemi Ed. 2002
  • Carta del Regno di Napoli, 1580. Bibliothèque nationale de France, département Cartes et plans
  • Calabriae Descrip. per Prosperum Parisium consent di A. Ortelius  1595 ca.
  • Carta corografica della Calabria ulteriore 1784 di Padre Eliseo della Concezione (Francesco Mango) (Napoli, 1725-1809)
  • Atlante geografico del regno di Napoli 1788 di Rizzi Zannoni, Giovanni Antonio (1736­1814)

 

L’industria boschiva, per una montagna ricca di legname come l’Aspromonte, ha rappresentato il più importante comparto economico del comprensorio.
Sino al secolo scorso il legname era indispensabile per l’industria navale, nella costruzione di edifici, per le botti, ecc. e la segheria era l’opificio che lo lavorava.
La ricostruzione di una segheria e molto altro ancora è riportato nel pregevole volume “Tutto scorre” di Domenico Malaspina e Antonino Sapone, Laruffa Ed. 2019. Vi leggiamo che attestazioni di segherie risalgono alla prima metà del 1400. Giuseppe Melograni, Ispettore Generale dell’Amministrazione delle Acque e Foreste nel suo “Descrizione geologica e statistica di Aspromonte e sue adiacenze” del 1823 scrive “gran numero di seghe che sono in continua azione”.
Bisogna essere grati ai due autori per il prezioso lavoro di ricerca, relativo alla vallata del Gallico, e mi auguro che tali studi vengano estesi ad altre aree dell’Aspromonte.
Purtroppo, le fonti sono lacunose. Labili tracce appaiono nella cartografia o in foto aeree dove sono riportati i tracciati delle teleferiche https://www.laltroaspromonte.it/2021/04/26/friulani-in-aspromonte/
Delle decauville, ferrovie a scartamento ridotto per il trasporto del legname sino alle segherie, rimane qualche tracciato o qualche manufatto https://www.facebook.com/altroaspromonte/posts/470508358201869
Imponente, anche se in abbandono, è la segheria di Giffone.  La segheria di Pantanizzi (in agro di Bagaladi) sino a pochi anni fa era ancora riconoscibile in alcune strutture murarie e macchinari. Ma oggi degli immobili rimane qualche brandello di muro e i macchinari non vi sono più. Una segheria veneziana è stata donata dall’imprenditore boschivo Poletto di Serra San Bruno al Dipartimento di Agraria dell’Università mediterranea di Reggio Calabria ed è situata nel piazzale retrostante l’edificio in attesa di essere montata.
La segheria De Leo, a breve distanza da Gambarie, è stata meritoriamente acquistata dall’Ente Parco nazionale dell’Aspromonte. Per la visita http://www.parconazionaleaspromonte.it/centri-visita-dettaglio.php?id=673
Infine, per chi scruta il passato anche attraverso i nomi dei luoghi, restano i toponimi: fontana della Serra, Sega di Pollia, Sega di Cufalo, Serra Vecchia e tanti altri.

Quella che descriviamo è una proposta di route in Aspromonte per scout. Il percorso è stato rodato da Gruppi scout reggini ed elaborato in base alla conoscenza del territorio di Alfonso Picone Chiodo e Francesco Manti.
Grande cura e massima attenzione sono state poste, nel redigere questa proposta, per garantire l’attendibilità e l’accuratezza delle informazioni. Tuttavia, i dati possono presentare errori di aggiornamento o di georeferenziazione. Si declina quindi ogni responsabilità per eventuali variazioni successive alla rilevazione dei dati e in ordine ad eventi dannosi che possano derivare dall’utilizzo delle informazioni fornite. Prima di intraprendere la route è quindi necessario informarsi sull’accessibilità, munirsi di una carta dettagliata e osservare norme, divieti e regolamenti in merito alla fruizione dei siti.
Oltre alle info fornite di seguito, potete avere gratuitamente le tracce in formato gpx, kml, shp e le carte del percorso facendone richiesta tramite https://www.laltroaspromonte.it/contatti/
Una mappa interattiva la trovate al link https://www.laltroaspromonte.it/cartografia/#route-scout-in-aspromonte
Ringraziamo quanti vorranno segnalarci eventuali variazioni o inesattezze.

La ruote prevede 4 tappe fattibili ognuna in giornata. Considerando il viaggio sono necessari 5 o 6 giorni, secondo gli orari dei trasporti e la località di provenienza.
Il percorso è ad anello, con partenza e ritorno a Gambarie (raggiungibile con autobus da Reggio Calabria o anche dalla base scout Aspromonte). La segnaletica di alcuni sentieri, con segnavia rosso-bianco-rosso e cartelli, è a cura del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Sulla cartografia vengono indicati in rosso i tratti su asfalto. Di questi tratti alcuni sono obbligatori, altri sono alternativi ai sentieri.
Volutamente non vengono indicati i tempi dato che, per gli scout, sono estremamente variabili in base ad allenamento, peso dello zaino, necessità di soste per attività varie, ecc. Sono però specificati km e dislivelli.
Nel caso si voglia abbreviare il percorso di una tappa lo si può fare dai Piani di Carmelia salendo col sentiero 102 al Montalto senza passare da Polsi.

Per informazioni: Autolinee http://www.atam.rc.it/
Base scout Aspromonte http://www.masci-rc4.it/baseaspromonte/
Parco Nazionale Aspromonte http://www.parconazionaleaspromonte.it
Sull’Aspromonte in generale https://www.laltroaspromonte.it/

 

PRIMA TAPPA

Gambarie 1304 m (Santo Stefano in Aspromonte) – piani di Carmelia 1305 m (Delianuova)
Tappa che si svolge sempre dentro i boschi e attraversa diversi corsi d’acqua. Nonostante sia segnata porre attenzione al percorso. Nel primo tratto è possibile alternativa su strada.
Lunghezza: 16 km circa
Difficoltà: E
Segnaletica: la tappa corrisponde ad un tratto del Sentiero del Brigante (numero 100 e alcune volte sigla SB)
Quote: minima 1247 m., massima 1425 m.
Dislivelli: circa 230 m salita, altrettanti in discesa
Punti d’acqua: Gambarie, fontana del Monaco (coordinate 38.19215, 15.87358), piani di Carmelia
Approvvigionamenti: Gambarie. Vicino alle fontane di Carmelia si trova il Bar-Ristoro “Il Cavallino” 3207950361 e a due km il Rifugio “il Biancospino” 329 628 3539
Descrizione: il percorso su strada (più breve di circa 1 km) segue la SP3 sino al laghetto di Rumia. Portarsi al lato est del lago e procedendo in direzione nord-est e dopo i Piani Quarti aggancerete i segnavia del sentiero 100.
Volendo intraprendere il sentiero 100 sin da Gambarie troverete un tabellone riepilogativo e l’inizio dei segnavia nel bosco di Terreni Rossi, poco dopo il piazzale ANAS. Giunti al torrente Saltolavecchia lo si guada e si imbocca una stradina nella faggeta che giunge presso il lago. Dai Piani Quarti diversi saranno i ruscelli che si incontreranno. Il sentiero cammina poco a monte di una stradina e alcune volte la intercetta. Poco avanti la fontana del Monaco si sbocca in uno spiazzo dove si diparte una pista di esbosco che scende ripidamente al ponte dell’Albara. Ma il sentiero 100 scende al Passo delle Due Fiumare ove esiste un’opera di presa per una centrale idroelettrica. Qui, oltre al guado, bisogna porre attenzione a riprendere i segnavia sul versante opposto della valle. Raggiunta una pista sterrata si prosegue sino al piano di Melia, poi un tratto nella vegetazione fitta e altra radura. In breve, si guadagna la stradina asfaltata che conduce alle fontane dei Piani di Carmelia, presso la chiesetta della Madonna della Salute.

 

SECONDA TAPPA

Piani di Carmelia 1305 m (Delianuova) – Santuario di Polsi 862 m (San Luca)
Percorso su sentiero, stradina asfaltata e infine pista sterrata ripida. Polsi è il centro della religiosità popolare dell’Aspromonte.
Lunghezza: 13 km circa
Difficoltà: EE
Segnaletica: nel primo tratto (Carmelia-bivio monte Fistocchio) si segue il sentiero 133.
Quote: minima 862 m., massima 1457 m.
Dislivelli: circa 150 m in salita, circa 600 m in discesa
Punti d’acqua: Carmelia, Fontanelle, casello Vocale, santuario Polsi
Approvvigionamenti: qualcosa si può trovare a Polsi
Descrizione: seguite la strada asfaltata in direzione est e dopo meno di 2 km incontrerete una fontana e subito dopo una stradina sterrata a destra che entra nel bosco: seguitela. Noterete i segnavia del sentiero 133, salendo il panorama si apre da Palmi sino a Capo Vaticano. Poco avanti potrete sostare alla fontana Scarpa e alle Fontanelle. Giunti a Portella Mastrangelo s’incrocia la stradina asfaltata che proviene da Montalto e prosegue per San Luca. La si segue per un breve tratto in salita sino alle pendici di Monte Fistocchio. Al bivio si prosegue a destra sulla strada asfaltata in discesa e poco avanti noterete una pista sterrata sulla destra. Imboccatela e vi condurrà al casello di Vocale. Proseguendo si raggiunge Puntone la Croce, eccezionale punto panoramico sul versante orientale del massiccio ed in particolare sulla vallata del Bonamico con Polsi. Sulla sinistra un sentiero conduce a un rifugio realizzato dagli operai forestali. Da Puntone la Croce inizia la ripida discesa su Polsi, s’incrociano tra loro tratti dell’antico sentiero e della dissestata pista. Raggiunta una pista (che proviene da San Luca) si devia a destra per Polsi, si supera il Torrente Sedia sul quale incombe la frana di S. Francesco e si giunge al santuario.

 

TERZA TAPPA

Santuario di Polsi 862 m (San Luca) – Montalto 1956 m (San Luca)
La tappa è impegnativa per dislivello (circa 1.000 m. di salita). La si può affrontare seguendo l’antico sentiero seguito dai pellegrini o, con un tragitto più lungo, dalla strada asfaltata che passa dal casello di Cano.
Quote: minima 862 m., massima 1956 m.
Dislivelli: 1094 m salita
Sentiero diretto.
Lunghezza: 7,2 km.
Difficoltà: EE
Segnaletica: la tappa corrisponde a un tratto del Sentiero Italia col numero 103.
Punti d’acqua: Polsi, pantano di Montalto
Approvvigionamenti: nessuno
Descrizione: la via Crucis, tra castagni monumentali, attacca la salita. Giunti al termine, una scaletta consente di uscire dalla recinzione. Il sentiero, in alcuni tratti eroso, sale tra le felci. Esemplari isolati di querce offrono un po’ di ombra, si lascia a destra la frana di San Francesco e a sinistra il vallone della Madonna. Iniziano i pini larici e poi i faggi sino a raggiungere il Piano dei Riggitani. Attraversata la radura ecco un breve tratto di pista e poi il sentiero che riprende ripido. Il bosco si alterna a tratti aperti con tracce di terrazzamenti dove anticamente si coltivavano cereali (loc. Gianni Iettu, nell’IGM Portella Giovannetto). Infine, si accede alla strada asfaltata. Il sentiero proseguirebbe tagliando alcuni tornanti della strada e salendo al Montalto dal versante nord-est. Conviene invece seguire la strada che in circa 1.5 km giunge alla base del Montalto dal versante nord, dove inizia il sentiero più battuto. Inoltre, prima di salire in cima, potreste avere necessità di rifornirvi d’acqua e lo si può fare al pantano di Montalto che è nei pressi. Si prosegue lungo la strada e poco oltre (loc. Putichej) si incrocia un’altra strada. Nel bordo meridionale della strada vi è un’apertura nella staccionata di legno: entrate nella faggeta e seguite il sentiero che scende per tornanti fino a confluire in una stradina sterrata. Una prima fontana si trova subito sulla stradina e un’altra poco avanti verso sinistra.
A Montalto, seguendo il sentiero delimitato da una staccionata in legno e segnavia bianco-rosso, si sale in circa 20 minuti. La statua del Redentore vi accoglie e dalla vetta, la più elevata dell’Aspromonte, potete ammirare un ampio panorama sullo Ionio e sul Tirreno. Con l’ausilio di una rosa dei venti potrete individuare le cime più importanti del massiccio e, con buona visibilità, le Serre, l’Etna e le isole Eolie. Alle spalle della statua i segnavia portano ad una valletta riparata e poi a un altro punto panoramico.
Strada.
Lunghezza: 15 km circa
Difficoltà: E
Punti d’acqua: Polsi, fontana Malonome, pantano di Montalto
Descrizione: a metà del tragitto si incontra un grande spiazzo col casello di Cano. Circa 1 km prima la fontana del Malonome.

 

QUARTA TAPPA

Montalto 1956 m (San Luca) – Gambarie 1304 m (Santo Stefano in Aspromonte)
Tragitto per un tratto su strada e poi diversi sono i sentieri che scendono a Gambarie, consigliamo il 112. Itinerario più diretto è quello lungo le piste da sci.
Lunghezza: 12 km circa
Difficoltà: E
Segnaletica: sentiero 112
Quote: massima 1956 m., minima 1304 m.
Dislivelli: 652 m discesa
Punti d’acqua: Pantano di Montalto, Gambarie
Approvvigionamenti: Gambarie
Descrizione: dalla base di Montalto seguire la stradina asfaltata per 2 km sino a Materazzelli (pianoro con rudere sulla sinistra) e per altri 5 km sino a Nardello (stradina a sinistra che termina ai resti dell’ex base USAF). Poco avanti della deviazione per l’ex base si lascia la strada per una pista a destra. Qui il sentiero 112 scende a Gambarie aggirando monte Basilicò. Seguendo invece ancora la pista verso destra, dopo una costruzione, si accede alle piste da sci che scendono su Gambarie.

Nel 2001 realizzai per il CAI di Reggio Calabria una mostra fotografica che raccontava, attraverso le splendide immagini subacquee di Francesco Turano e le mie foto “terrestri”, del legame mare/monti che caratterizza la nostra città. Spiagge emerse dal mare e montagne ora sommerse, per la mutevolezza geologica della nostra terra. Uno scenario unico che purtroppo spesso abbiamo deturpato come documentano le immagini e i testi ancora attuali. Importanti le riflessioni dello storico prof. Domenico Minuto e del geografo prof. Renato Crucitti. La mostra venne esposta al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio di Calabria.

 

San Gianni è una contrada a nord dei ruderi di Africo, collocata su di un crinale che si protende tra il torrente Aposcipo e lo Spasola, con la quota più elevata intorno ai 600 m.
Fu visitata dal prof. Domenico Minuto nella primavera del 1989 per le sue ricerche sui luoghi di culto basiliani. Si ipotizza possa essere il luogo dove sorgeva il convento della SS. Annunziata.
Di recente, nel condurre un’indagine sulla pastorizia, ho coinvolto Leo e Andrea Stilo, il cui padre ebbe un ovile proprio a San Gianni. Son voluto quindi tornare in quel luogo.
C’ero già stato circa 30 anni fa, guidato sempre dagli Stilo, e nel 2018 per … sbaglio. Ci passai infatti nel tentativo di aggirare le gole del vallone Spasola.

Le strutture murarie del convento sono ormai illeggibili per cui rimando alle immagini degli anni ’70 e ’80 pubblicate su “Africo: terra mia” di Costantino Criaco.
L’abbandono dei luoghi è tale da renderli difficilmente accessibili ma, negli anni in cui la montagna era popolata, doveva essere un sito nodale. Lo si può desumere dalla incredibile qualità e quantità degli oggetti ivi ritrovati: un busto marmoreo acefalo, unguentari, vasetti, mattoni di età romana, un rosone in pietra e altro. Insomma l’Aspromonte, almeno in quell’epoca, era al centro del mondo. Una lezione su come non bisogna accontentarsi della rappresentazione attuale ma cercare l’Altro Aspromonte.

n.b.: gli oggetti ritrovati sono stati regolarmente segnalati alle Autorità competenti. Altre notizie sugli Stilo, una famiglia che possiede un importante patrimonio di conoscenze sull’Aspromonte, le trovate nel post https://www.facebook.com/altroaspromonte/posts/249504476968926