Percorro l’Aspromonte da quasi 50 anni ma in questa montagna, antropizzata e ormai esplorata sin nei suoi recessi più remoti esistono ancora delle macchie bianche, quelle che gli antichi cartografi indicavano con la scritta “hic sunt leones” per individuare i pericoli sconosciuti nei quali si poteva incorrere.
Uno di questi luoghi, forse l’ultimo, è la frana Colella (la più grande d’Europa) in agro di Roccaforte del Greco, ammantata di leggende sulla capacità di inghiottire uomini e animali.
Ogni volta che mi affacciavo sull’orlo di questa immane voragine, di questo enorme imbuto mi chiedevo come potesse essere il suo fondo dove continuamente si scaricano quantità enormi di materiale lapideo. Discenderla e poi uscirne indenni dal corso d’acqua che affluisce nella fiumara Amendolea era impresa pericolosa e comunque possibile solo a chi ha la padronanza delle tecniche di discesa con corda (anche di cascate). L’esplorazione è stata realizzata col supporto tecnico di Demy D’Arrigo (guida professionale di torrentismo) e Claudio Bova di Aspromonte Wild insieme al colonnello Giuseppe Battaglia, già comandante provinciale dei Carabinieri.
Ci siamo addentrati in un territorio ignoto dove credo nessuno sia mai entrato. Abbiamo visto piccoli corsi d’acqua lattiginosi e totale assenza di arbusti o erba per l’impossibilità delle piante di trovare spazi di attecchimento e crescita. È stata un’esplorazione rischiosa (come tutte le prime) e anche per questo sconsiglio chiunque dal rifarlo. Tuttavia è stato esaltante anche per me che credo di conoscere gran parte dell’Aspromonte: siamo entrati nel caos primordiale! Senza lasciare tracce per preservare al massimo l’unicità del geosito e la sua incontaminata energia che alimenta per vie misteriose e sconosciute il mito della grande montagna aspromontana.