Ho notato un’area di Reggio Calabria con un’ubicazione analoga a una località di Roghudi. Ambedue infatti si chiamano “Mesapotamò”, dal greco “in mezzo ai fiumi”. Quella in città è nella zona di San Sperato, tra le fiumare Calopinace e Sant’Agata.
Due immagini aeree scattate a distanza di oltre mezzo secolo documentano l’assalto dell’urbanizzazione.

 

Antonio Vottari detto Scarpina era un pastore che aveva l’ovile lungo il tragitto che portava al lago Costantino e quindi da me spesso frequentato a cominciare dagli anni ‘80. Scarpina è scomparso nel 2002, il lago qualche anno dopo e l’area è caduta nell’oblio. Mesi fa però, da Serro d’Acro, sotto Pietra Castello, ho rivisto la contrada Pezzi, ove era sito l’ovile. Ho avuto nostalgia di tornarvi e Santo, il figlio di Antonio Vottari, mi ha gentilmente accompagnato. La fiumara Bonamico, in quel mese di giugno, è ancora gonfia d’acqua pertanto con un fuoristrada la guadiamo e saliamo sino a Pìrria, sul versante destro del torrente. Da lì un percorso per me inedito, seguendo tracce ormai labili che solo Santo sa vedere. Incontrando ovili abbandonati, armacere e terrate dirute. Dentro una fitta e ombrosa lecceta ma che ogni tanto apre affacci sulla fiumara e sulle vertiginose pareti di Pietra Castello. Ai toponimi citati nella cartografia dell’I.G.M.I.  e della C.T.R. si aggiungono quelli conosciuti da Santo. Un rosario di nomi che bisbigliano leggende come Bottiglerìo, il vallone nel quale furono gettati dal castello, in una botte,  il conte cattivo e il paggio traditore. O mestieri come Fassari, dall’arabo fabbricante di stuoie; piante come Cessarè dal greco cisto, Napordà = cardi; uccelli come Pìrria dal greco pettirosso; nomi come Agàsi = Agata; indicativi dell’orografia come Anzari dall’arabo terrazza, cioè luogo pianeggiante presso un dirupo; memoria di luoghi sacri come Costantino dove esisteva un monastero. Mi sembra di essere in Australia lungo le vie dei canti narrate da Bruce Chatwin.
Entrando e uscendo da valloni scendiamo infine alla fiumara Bonamico, poco a valle della frana di Costantino, quella che ostruì il corso d’acqua creando il lago omonimo.  Imponente, tormentata, disseminata di massi enormi ma ci spostiamo al pianeggiante terrazzo alluvionale ai piedi dell’ovile e già alcuni muretti sono i segni dell’attività di dissodamento di Scarpina che qui, nella bella stagione, coltivava l’orto. Poco distante, la sorgente di Pezzi. E proprio questo toponimo mi fa pensare che potrebbe assimilarsi a Punta Pezzo, presso Cannitello, luogo più stretto tra Calabria e Sicilia. Infatti Pezzi si trova proprio nel punto in cui la fiumara Bonamico si restringe. Era lì che i Vottari avevano realizzato un’ardita passerella con cavi d’acciaio ancorati a uno scoglio roccioso in mezzo alla fiumara.
Saliamo alla baracca e a quello che rimane del giardino che aveva alberi da frutto di ogni tipo. Convogliando l’acqua di una sorgente, Scarpina aveva creato una vera oasi nel deserto dove spesso noi escursionisti, arrostiti dall’infuocata pietraia della fiumara, ci rifugiavamo. Ma l’offerta dell’irrinunciabile bicchiere di vino ci stordiva del tutto.
Ora Santo deve combattere contro la vegetazione che sta ingoiando l’ovile, contro i cinghiali e le vacche che assediano il frutteto scalzando ogni recinzione. Un impegno gravoso, considerando anche le ore di cammino necessarie per giungere sul posto. Un onere che si è dato solo per motivi affettivi ma che non sa sino a quando potrà assolvere.

Ringrazio per la premurosa collaborazione i parenti di Scarpina e per l’assistenza audio-video Giuseppe Intravaia.

Approfondimenti

Scarpina
Lago Costantino
Sorgente Pezzi mappa
Passerella fiumara

Frequento l’Aspromonte da diverso tempo e questo, unitamente alle immagini che ho scattato, mi consente di osservare come sono mutate alcune aree.
Nel caso che espongo sono stati gli alberi, piantati dall’uomo, a cancellare un ambiente.
Si tratta di quella che, sino agli anni ’80, era la radura di Cannavi, alle pendici sud del monte omonimo, tra i comuni di Delianuova e San Luca. Attraversata da una stradina asfaltata, ai tempi una pista sterrata, che da Montalto segue il versante sinistro della vallata del Bonamico.
L’improvvida decisione delle autorità forestali dell’epoca fu di piantare alberi. In una radura in leggero declivio, senza nessun problema di dissesto o di erosione. Probabilmente la facile accessibilità, la necessità di occupare la manodopera e di utilizzare il materiale vivaistico disponibile furono motivi sufficienti.
È stato così cancellato un importante elemento naturale del mosaico di ambienti che compone il paesaggio montano. Un paesaggio che è tanto più pregevole tanto più presenta ambienti diversi, con alternanza di boschi e radure, di pieni e di vuoti.
La radura inoltre, rispetto al sottobosco, forma un ecosistema profondamente diverso, risultando fondamentale per gli animali erbivori che lo usano abitualmente come superficie da pascolo (per esempio i tassi, le lepri, i caprioli). O per le farfalle dato che nelle radure si sviluppano un gran numero di piante erbacee delle quali si nutrono questi insetti. Insomma la varietà di ambienti contribuisce ad avere un elevato livello di biodiversità.
Radure, conche che un nostro autorevole geografo come Luigi Lacquaniti interpretò come tracce glaciali quaternarie, “circhi glaciali dalla forma classica a scodella aperta, limitata a monte, da pareti abrupte, con fianchi che, lateralmente, si raddolciscono, raccordandosi in curva sul fondo. In basso le cavità sono accompagnate da una barra rocciosa, ricoperta parzialmente da cordoni morenici. Il fondo che è ricoperto, maggiormente verso la barra, da uno strato di terra vegetale mescolato a frammenti rocciosi a spigoli netti, si presenta appena inciso da un solco di raccolta delle acque di pioggia o di fondita delle nevi, senza che ne sia modificato il caratteristico profilo glaciale.” (1)
Nei pressi la località denominata col termine dialettale “La squella” (o squeda) indica la scodella e in particolare una vasca circolare e incavata usata nel frantoio.
Tutto ciò è stato cancellato, con l’aggravio che non abbiamo nemmeno un bosco.
Nel tempo quell’impianto artificiale (tale perché realizzato dall’uomo) non è stato poi curato, non sono stati effettuati i necessari diradamenti e sfoltimenti. Ora è una sequela fitta di alberi filati, mal cresciuti, facili a essere schiantati da neve e vento, attraverso i quali non penetra la luce e quindi senza alcun sottobosco, facile preda del fuoco per la vicinanza delle piante.
Né mai il Parco Nazionale dell’Aspromonte si è preso la briga di effettuare degli interventi di restauro ambientale, in questa come in altre aree analoghe. Nonostante nel Piano del Parco, redatto per gli aspetti forestali da eccellenti professionisti e accademici della materia, tali problematiche e le possibili soluzioni siano state indicate.
In conclusione: non sempre piantare alberi è utile.

Le immagini mostrano una sequenza cronologica di Cannavi dal 1988 ad oggi con alcune attuali della vicina radura di Tabaccari, risparmiata dalla frenesia da rimboschimento.

(1) Luigi Lacquaniti, Le tracce glaciali quanternaria e l’antico limite altimetrico delle nevi nell’Aspromonte, Atti della XLII Riunione della Società per il progresso delle scienze, Roma 1951