Ecco un Altro Aspromonte, grazie ad una suggestiva sequenza di sette dittici del fotografo Giacomo Falcone. Una visione originale e forse inedita per la nostra montagna, quella dell’amico e collega Giacomo. Accoppiando una fotografia di paesaggio ad una microfotografia di un’ala di farfalla racconta la sua intima visione di una montagna che riflette il suo incanto anche nei piccoli esseri che la abitano.
Appassionato della natura in tutte le sue forme, ha iniziato a fotografare spinto dal desiderio di raccontare una bellezza sotto gli occhi di tutti ma che pochi hanno voglia e tempo di osservare. Si è specializzato in fotografia naturalistica e in macrofotografia, interessi che, uniti alla professione di ricercatore presso il Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, lo ha portato a collaborare in pubblicazioni internazionali con i colleghi entomologi.
Con l’attenzione quindi di chi cammina con passo lento e curioso e non di chi corre. Con questo spirito, come un cercatore d’oro armato di setaccio cerca tra i sassi il metallo più prezioso, con i suoi obiettivi vaglia ciò che lo circonda trovando tesori inaspettati.

Il calabrese ha avuto ed ha un rapporto difficile con la natura, spesso conflittuale. A farne le spese è anche la fauna. Diversi episodi lo attestano. Ne racconterò qualcuno mantenendomi generico nell’indicazione di luoghi e persone. Il periodo natalizio non si presterebbe a tali argomenti ma i bracconieri non divengono buoni nemmeno a Natale. Avverto i lettori che alcune foto sono cruente.

IL FATTO
Una decina d’anni fa, Aspromonte orientale. L’inverno si avvicina a grandi passi e l’escursione è stata sinora molto piacevole. Stiamo consumando il pranzo al sacco quando vediamo transitare un fuoristrada con due uomini a bordo. Terminata la sosta riprendiamo il cammino e poco avanti l’automezzo, nel tornare indietro, si ferma e l’autista ci chiede che facciamo da quelle parti. Lo mettiamo al corrente dei nostri programmi e nel frattempo vediamo che nella parte posteriore dell’auto vi è una grossa bacinella ed una corda. Riprendiamo il cammino e più avanti troviamo, proprio in mezzo al sentiero, una pecora morta, posta sopra un sacco, con il ventre squarciato e le interiora che fuoriescono, copiosamente riempiti con una polvere grigiastra, probabilmente veleno, in quanto intorno vi sono numerose mosche ed altri insetti morti. Non potendo chiamare le autorità competenti per mancanza di campo e per evitare che qualche lupo e/o altri animali rischiassero di morire avvelenati bruciamo, come possiamo, la carcassa. Ripreso il cammino e tornati alle auto denunciamo prontamente il fatto ma, per quanto ci è dato sapere, senza esito.

IL COMMENTO
La questione è complessa. Da un’indagine condotta di recente dal Dipartimento di Agraria dell’Università di Reggio Cal. e dalla mia conoscenza sull’argomento abbiamo: una pastorizia in alcuni casi poco attenta alle cure del gregge con recinzioni malferme e scarsa o nulla vigilanza durante il pascolo; un effettivo aumento del numero di lupi (che non sono stati “liberati” e in Aspromonte non sono centinaia ma poche decine); cani non specializzati nella difesa dai lupi; danni da cani rinselvatichiti e/o da ibridi cane-lupo; il Parco che aveva avviato e poi interrotto la consegna agli allevatori di cani da guardiania; un iter complesso nel risarcimento dei danni da lupo.
Difendersi dal lupo con mezzi estremi era comprensibile più di mezzo secolo fa quando questa specie non era protetta, la perdita di capi era grave per il pastore e non risarcita.
Oggi l’avvelenamento, così come altre soluzioni quali tagliole (pericolose anche per gli escursionisti), lacci o uccisione per arma da fuoco sono reati e quindi inaccettabili. Ogni anno in Italia centinaia di animali selvatici e domestici muoiono per aver ingerito bocconi avvelenati.
Chi incapperà in una delle situazioni suddette lo comunichi ai Carabinieri Forestali che hanno uno specifico Nucleo Cinofilo Antiveleno.

I caselli forestali, un patrimonio negletto, mai valorizzato, eccetto alcuni rari casi. Si tratta di oltre cento immobili che punteggiano l’Aspromonte. Le tipologie vanno dall’edificio in cemento armato a più piani al piccolo bivacco in legno. Lo stato di conservazione è da rudere a ben tenuto.
La loro storia è controversa ma provo a descrivere sinteticamente le complesse vicende che hanno portato alla loro realizzazione. Notizie che possono essere parziali o errate sino a eventuale smentita. Non esistono infatti o sono rari i documenti ufficiali sull’argomento.
Vi sono alcuni caselli, pochi, la cui costruzione risale agli anni ’30 del secolo scorso. Altri furono poi costruiti a partire dal secondo dopoguerra. Costruzioni realizzate secondo le direttive dell’allora Corpo Forestale dello Stato e quindi secondo criteri razionali.
A partire dagli anni ‘70 la competenza in materia di foreste passò alle Regioni e fu quindi l’A.Fo.R. (Azienda Foreste Regionali) a occuparsene. Alcuni venivano concessi a gruppi scout e giovanili per le loro attività in montagna.
A causa del gran numero di operai forestali impegnati nei cantieri montani si iniziarono a realizzare tante strutture in molti casi sovradimensionate. In alcune di esse vi erano operai che pernottavano con turni tali da garantire una presenza assidua in montagna rendendosi utili nel portare soccorso ad automobilisti o turisti incappati in incidenti o nel mal tempo. Tra gli anni ’80 e ’90 del secolo scorso li utilizzai come punto d’appoggio per i trekking che organizzavo con la coop. Nuove Frontiere.
Nel tempo le risorse economiche e umane diminuirono, causa gli sprechi precedenti, fino a esaurirsi del tutto tanto da non garantire nemmeno la manutenzione degli immobili. Quasi sempre chiusi e per il cui utilizzo spesso non è facile sapere a chi rivolgersi. La gran parte non sono accatastati e/o non rispondono alle attuali norme in materia di sicurezza. Alcuni dismessi da Calabria Verde (una volta A.Fo.R.) sono stati girati ai Comuni nel cui territorio insistono ma spesso tali enti non sono in grado di gestirli.
In ogni caso da qualche decennio non si costruiscono più caselli forestali. Alla necessità di avere un punto d’appoggio gli operai forestali quindi si arrangiano realizzandoli da sé con materiali in gran parte reperiti in loco (legno, pietra) o tassandosi per l’acquisto di quant’altro necessario. Per assurdo con tale modalità “ecosostenibile” sono stati spesso creati veri rifugi, ben inseriti nell’ambiente, dotati dell’indispensabile ma che in montagna può essere vitale: acqua, caminetto, un tetto e alcune volte anche provviste. Sono spesso aperti, fruibili liberamente e pertanto preziosi per l’escursionista. Ovviamente vanno utilizzati CON RISPETTO E GRATITUDINE verso chi li gestisce.
Nell’intento di far conoscere questo patrimonio è stata realizzata nel 2006 dal CAI sezione Aspromonte un’indagine su 53 strutture dell’allora A.Fo.R. (Azienda Foreste Regionali) i cui esiti sono stati pubblicati nel libro https://www.laltroaspromonte.it/portfolio-articoli/guida-ai-caselli-forestali-della-provincia-di-reggio-calabria/
Sempre nel libro, nel capitolo “Metodologia di indagine”, viene esplicitato come poter interpretare le informazioni riportate nel database. La ricerca è stata poi da me e da altri in parte aggiornata e integrata.
L’intento principale, infatti, è rendere evidente una risorsa della nostra montagna che anziché offrire rifugio all’escursionista, si sta degradando.
Data la mole di dati alcune informazioni potrebbero non essere più attuali. È consigliabile pertanto verificarle, soprattutto se vorrete utilizzare qualche struttura.
Come ogni indagine seria non pretende di essere esaustiva e quindi chiedo a tutti voi di collaborare al suo aggiornamento. Nel caso vi prego di farlo compilando la scheda apposita.
Ringrazio per la preziosa collaborazione e la paziente disponibilità il dottore forestale Francesco Manti e il professore Gianluca Lax.
https://www.laltroaspromonte.it/cartografia/mappe/#caselli-e-rifugi